Tadao Tsuge, analisi de “La mia vita in barca”

Analizzare tutte le sfaccettature di un maestro dell’underground come Tadao Tsuge non è affatto facile, dietro i suoi racconti ci sono passioni, emozioni, viaggi interiori, scoperta dell’io e molto altro.
Nasce a Tokyo il 2 Luglio 1941 e sotto l’influenza del fratello maggiore Yoshiharu Tsuge, ha intrapreso anche lui il mondo del fumetto per raccontare storie alternative, storie che si contraddistinguevano dal classico narrare dei man-ga.
Il sensei Tsuge infatti è uno dei maestri che ha rivoluzionato il modo di raccontare a fumetti, insieme al fratello Yoshiharu, che a sua volta era stato influenzato dal maestro Tezuka, iniziatore di questa rivoluzione della nona arte: il geki-ga.
Principale pioniere del geki-ga fu il maestro Yoshihiro Tatsumi, che noi ricordiamo principalmente per la sua autobiografia “A drifting Life”.
Ma cosa davvero caratterizza i geki-ga? Volendo opporsi al classico narrare dei man-ga, Tatsumi coniò questo termine, che sta proprio per “immagini drammatiche”, cioè narrazioni più impegnative, piene di problemi di vita quotidiani ed esistenzialismo, con impronte autobiografiche e riflessioni profonde, critiche sociali e critiche all’uomo. Solo chi ha passato determinate situazioni nella vita, può dare un’impronta autobiografica e malinconica ai geki-ga e quindi è evidente che non sia da tutti poterli scrivere.
Ormai è chiaro che i geki-ga siano veri e propri romanzi a fumetto, nulla a che vedere con i man-ga.

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Tadao Tsuge ha avuto una vita abbastanza complicata: da bambino sopravvissuto ai problemi del dopoguerra assieme al fratello, non pensava altro che ad avere una vita tranquilla e un tozzo di pane tra le mani; non desiderava altro.
Poi comincia a pubblicare assieme al fratello su Garo, di cui diventa un esponente importante.
Nel 1997 esce su Comic Tsuritsuri – una rivista sportiva di pesca – “La mia vita in barca”, fumetto Underground del maestro e si conclude nel 2001.

Questa graphic novel ha come protagonista un uomo anziano di nome Tsuda Kenta, che lavora assieme alla famiglia in un negozio di Jeans, ma è troppo “avanzato” per seguire le mode. Tsuda è insoddisfatto della sua vita e ha bisogno di una boccata d’aria fresca, così un giorno compra una barca. La barca lo facilita con la sua passione, quale la pesca, ma più che altro mette lo stesso Tsuda di fronte ad una riflessione sulla propria vita e lo mette alla ricerca del suo vero io.

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Come ho già detto Tadao Tsuge amava mettere le sue passioni in quello che scriveva, amava raccontare della sua vita quotidiana, di ogni piccolezza e dettaglio della sua umile vita.
Tsuge non ha mai avuto una vita agiata, era un semplice operaio che amava la pesca e in questo romanzo lo vedremo nel suo aspetto più intimo, un viaggio introspettivo nella profondità del suo animo.
Il sogno di avere una barca e vivere tranquillo, l’obiettivo di avere una vita di pace in povertà e non aspirare a una vita più facoltosa. Cosa lo spinge a voler una vita del genere? Gli eventi frenetici del dopoguerra, l’hanno portato a voler allontanarsi dal rumore del mondo, a non chiedere altro che perdersi nel fiume Tone a cercare la perfezione nella sua semplicità – allegoria della strenua ricerca del pesce soddisfacente – e una barca costruita da lui che sta a simboleggiare un momento di svolta nella sua vita, un cambiamento repentino.

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Nel fumetto vedremo sempre dialoghi semplici, dialoghi su quel che il protagonista Tsuda-san – alterego del maestro Tsuge – osserva di volta in volta, o più semplicemente i pensieri che gli balzano in mente in quel momento, che in realtà sono molto più articolati di quel che sembrano. Nelle parole dell’ormai vecchio Tsuda-san, si evince una malinconia disarmante per una vita insoddisfacente che ormai non può più essere recuperata data l’età che avanza. Tra una vignetta e l’altra si possono vedere dettagli che il maestro Tsuge ha disseminato per far capire al lettore il disagio di una vita che non appartiene al protagonista, una vita quasi di inettitudine, totalmente vuota, alla disperata ricerca di un obiettivo finale. Ormai il suo unico pensiero è la sua barca.
Ad un certo punto della storia compare Sayabe, un vecchio che galleggia in acqua. Sayabe non è altro che un desiderio remoto del maestro, la voglia di ambire ad una vita come quella del vecchio galleggiante. In quel momento Sayabe era immerso nel fiume avvolto da una tranquillità che quasi lo riscaldava, nonostante le temperature basse della notte; non desiderava altro che morire in mare.
Il mare per Tsuge rappresenta una specie di Nirvana, una meta ultima che non poteva essere contaminata da concetti come guerra e povertà. Nel mare c’è solo l’uomo e il silenzio.
Dopotutto il concetto della vita in barca è solo un pretesto di Tsuge per mettere a nudo l’animo del suo alterego, per fare una confessione sulla sua vita, non si vergogna di dire che non è stata come quella che ha sempre desiderato, ma anche per dare una speranza che mai tutto è perduto, c’è sempre una possibilità per riscattarsi.
In ultimo vorrei dire che questo non è assolutamente un geki-ga accentua la depressione nel lettore,ma è una una pura e semplice confessione dell’autore, un pensiero molto intimo che ha voluto condividere con i suoi lettori.
Ecco cosa rende questa una delle opere più mature e riflessive del maestro.

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